Controversie Agrarie

L’art. 5 della legge n.203 del 03.05.1982 (legge sui contratti agrari), disciplina i casi di recesso dal contratto di affitto ed i casi di risoluzione: “la risoluzione del contratto di affitto a coltivatore diretto può essere pronunciata nel caso in cui l’affittuario si sia reso colpevole di grave inadempimento contrattuale, particolarmente in relazione agli obblighi inerenti al pagamento del canone, alla normale e razionale coltivazione del fondo, alla conservazione e manutenzione del fondo medesimo e delle attrezzature relative, alla instaurazione di rapporti di subaffitto o di subconcessione. Prima di ricorrere all’autorità giudiziaria, il locatore è tenuto a contestare all’altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’inadempimento e ad illustrare le proprie motivate richieste. Ove il conduttore sani l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimento di tale comunicazione, non si dà luogo alla risoluzione del contratto. La morosità del conduttore costituisce grave inadempimento ai fini della pronunzia di risoluzione del contratto ai sensi del secondo comma del presente articolo quando si concreti nel mancato pagamento del canone per almeno una annualità. È in ogni caso applicabile il terzo comma dell’articolo 2 della legge 9 agosto 1973, n. 508.
Il primo adempimento che il locatore deve, necessariamente, compiere per avviare l’iter finalizzato ad ottenere la tutela dei propri diritti è la contestazione dell’inadempimento mediante formale atto di diffida e messa in mora da inviare all’affittuario ai sensi dell’art. 5 della legge n.203 del 03.05.1982. Detto adempimento si pone come condizione di proponibilità della eventuale e successiva domanda giudiziale.
Qualora l’affittuario persista nella morosità, decorsi tre mesi dalla contestazione scritta, può procedersi ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 150 del 01.09.2011 dedicato alle “controversie agrarie”.
L’art.11 del D.Lgs. n. 150 del 01.09.2011 stabilisce che “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia nelle materie indicate dal comma 1 è tenuto a darne preventiva comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio” (comma 3).
Il locatore dovrà, dunque, avviare la procedura per l’espletamento del tentativo di conciliazione dinnanzi all’ispettorato agrario territorialmente competente. L’espletamento di tale procedura è obbligatoria e si pone come condizione di procedibilità della eventuale e successiva azione giudiziaria.
La Suprema Corte (cfr. Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, n. 19496) ha stabilito: “in tema di risoluzione di contratto agrario, la contestazione delle inadempienze, prevista dal terzo comma dell’articolo 5 della legge n. 203 del 1982 e costituente condizione di proponibilità della domanda giudiziale, avendo lo scopo di porre l’affittuario in condizione di provvedere, entro tre mesi dalla comunicazione, alle relative sanatorie, fissa una fase pregiudiziale che deve necessariamente precedere la convocazione dinanzi all’Ispettorato dell’agricoltura per il tentativo di conciliazione previsto dall’articolo 46 della medesima legge, e, quindi, formare oggetto di un atto separato e autonomo, posto che tale tentativo si giustifica solo dopo l’inadempienza effettuata dal locatore ex articolo 5 citato e comunque dopo che, attraverso eventuali contestazioni dell’affittuario in ordine alle inadempienze addebitategli, si siano chiariti i termini della controversia. Deriva da quanto precede, pertanto, che la domanda giudiziale di risoluzione proposta senza il preventivo adempimento di cui all’articolo 5 della legge n. 203 del 1982, nelle forme ivi previste, non si sottrae alla sanzione di improponibilità, quand’anche l’azione sia stata sperimentata dopo l’espletamento del tentativo di conciliazione, di cui al successivo articolo 46 e ancorché questo sia stato promosso mediante comunicazione di un atto contenente l’indicazione degli addebiti contestati all’affittuario”.
Si noti che, in tema di controversie agrarie, l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 46 l. 203/82) riguarda anche le procedure di ingiunzione attivate per il pagamento del canone di affitto (cfr. Tribunale Modena, sez. agraria, 05/03/2012, n. 410).
Nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione non dovesse avere esito positivo, si potrà adire l’autorità giudiziaria per ottenere la risoluzione del contratto, il rilascio del fondo ed il pagamento dei canoni.
La giurisdizione è quella del Tribunale Civile e, specificatamente, delle sezioni specializzate agrarie di cui alla legge 2 marzo 1963, n. 320, la tipologia del giudizio è quella del giudizio ordinario di cognizione, il rito è quello delle cause di lavoro, il giudizio non sconta il pagamento del contributo unificato (esente) ed è esente anche dai costi di notifica e diritti di cancelleria.
È la Suprema Corte a stabilire l’esenzione dal pagamento del contributo unificato: “le cause agrarie “stricto sensu“, come individuate dall’art. 11 del d.lgs. n. 150 del 2011, cioè quelle devolute alle sezioni specializzate agrarie di cui alla l. n. 320 del 1963, pur non annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato disciplinate dagli artt. 9 e 10 del d.P.R. n. 115 del 2002, continuano a fruire della non abrogata norma di cui all’art. 3 della l. n. 283 del 1957, sicché sono esenti al detto contributo” (cfr. Cassazione civile, sez. III, 31/03/2016, n. 6227).
A norma del comma 8 del richiamato art. 11, “quando l’affittuario viene convenuto in giudizio per morosità, il giudice, alla prima udienza, prima di ogni altro provvedimento, concede al convenuto stesso un termine, non inferiore a trenta e non superiore a novanta giorni, per il pagamento dei canoni scaduti, i quali, con l’instaurazione del giudizio, vengono rivalutati, fin dall’origine, in base alle variazioni del valore della moneta secondo gli indici ISTAT e maggiorati degli interessi di legge. Il pagamento entro il termine fissato dal giudice sana a tutti gli effetti la morosità”.
Nel caso di sentenza favorevole al concedente, va rilevato, inoltre, che a norma del comma 11 dell’art.11 “il rilascio del fondo può avvenire solo al termine dell’annata agraria durante la quale è stata emessa la sentenza che lo dispone”.
§ Il caso specifico nei c.d. contratti in deroga della deroga pattizia dell’art.5 della legge 3 maggio 1982 n. 203.
L’art. 45 della legge 3 maggio 1982 n. 203 (legge sui contratti agrari) con disposizione compatibile con gli art. 3 e 44 Cost., consente alle parti di derogare pattiziamente, con la garanzia dell’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative a livello nazionale, alle norme vigenti in materia di contratti agrari anche se inderogabili.
Nei contratti c.d. in deroga, le parti contraenti possono pattuire, in espressa deroga all’art. 5 della legge 203/1982, che, oltre che per i normali casi di inadempimento anche non grave, il contratto si intende espressamente risolto senza l’obbligo di adempiere alcuna formalità.
È pienamente valida la clausola risolutiva espressa contenuta in un contratto di affitto agrario, stipulato con la garanzia dell’assistenza delle organizzazioni professionali, in deroga alle disposizioni più favorevoli per l’affittuario previste dalla legge n. 203 del 1982 sulla gravità dell’inadempimento, sull’onere di preventiva diffida ex art. 5, commi 2 e 3, e sul termine di grazia (cfr. infra multis, Cassazione civile, sez. III, 15/05/2012, n. 7536; Cass. 12 luglio 1996, n. 6320. Non diversamente, Cass. 20 ottobre 1992, n. 8583; Cass. 6 novembre 1991, n. 11810).

La previsione della clausola risolutiva espressa, dunque, esclude la necessità delle formalità previste dall’art.5 legge della legge 203/82 ovvero la preventiva diffida, il decorso del termine trimestrale per avviare la procedura del tentativo di conciliazione – comunque ugualmente propedeutico all’instaurazione del giudizio – la concessione giudiziale dei termini di grazia, nonchè il considerare grave l’inadempimento soltanto quando la morosità persista da almeno un anno.
È possibile concludere che la previsione della clausola risolutiva espressa, in deroga all’art.5, rende più semplice, per il locatore, l’iter da seguire per ottenere la tutela dei propri diritti ed il preventivo atto di diffida non si pone più, dunque, come condizione di proponibilità dell’eventuale azione giudiziaria.
A parere dello scrivente, tuttavia, appare rispondente ad una buona prassi contestare, in ogni caso, formalmente, le inadempienze dell’affittuario se non altro per conferire certezza all’inizio della condotta contraria alle norme contrattuali ed alla morosità del medesimo.
Infine, è ugualmente obbligatoria, anche per i contrati c.d. in deroga, l’espletamento della procedura per il tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 46 l. 203/82) dinnanzi all’ispettorato agrario ponendosi tale adempimento come condizione di procedibilità della eventuale e successiva azione giudiziaria.
Per lo specifico caso dei contratti c.d. in deroga, durante l’espletamento del tentativo di conciliazione è necessaria l’assistenza, oltre che del proprio procuratore legale, delle associazioni di categoria che hanno assistito le parti durante la stipula del contratto agrario.

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