Quale strumento di tutela ha a disposizione il lavoratore che abbia subito un trasferimento illegittimo?

Il trasferimento del lavoratore ovvero il cambiamento definitivo della sede lavorativa risulta legittimo, ai sensi dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 13 della L. 300/70 (c.d. Statuto dei Lavoratori), solo se assunto in presenza di adeguate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Con tali espressioni, comunemente, s’intende l’impossibilità oggettiva per il lavoratore di prestare attività lavorativa nella originaria sede aziendale perché ad esempio è stata soppressa (cfr. Cass. Civ. 24112/2017) o l’indispensabilità dello stesso nella sede di trasferimento in ragione delle competenze specifiche dello stesso.
Conseguentemente, il mutamento della sede lavorativa non giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, configura come illecita la condotta datoriale (cfr. Corte di Cassazione n. 29054/2017).
Il datore di lavoro, inoltre, dovrebbe comunicare per iscritto, ai sensi degli artt. 1 e 3 del D.Lgs n.152/97, il trasferimento al lavoratore e con un termine di preavviso, osservando anche le disposizioni previste dal CCNL di categoria.
Il datore di lavoro non è tenuto ad indicare le ragioni del trasferimento nel momento in cui lo comunica al lavoratore, tuttavia, ha l’obbligo di fornirle qualora il lavoratore ne faccia richiesta.

Quale strumento di tutela ha il lavoratore che ritenga di aver subito un trasferimento illegittimo?
Il lavoratore che ritenga di aver subito un trasferimento illegittimo può impugnarlo dinnanzi al Giudice del Lavoro per chiederne l’annullamento ed, in quella sede, l’onere di provare la sussistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive del trasferimento sussiste, esclusivamente, in capo al datore di lavoro.
Il trasferimento non può discriminare i lavoratori per ragioni inerenti la sfera personale e non può assumere la valenza di una sanzione disciplinare atipica.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il datore di lavoro utilizza il trasferimento per allontanare un rappresentante sindacale “scomodo” o per “punire” un lavoratore per ragioni esclusivamente personali e/o discriminatorie.
Inoltre, le ragioni tecniche aziendali non possono ledere il diritto del lavoratore alla conservazione della professionalità che ha carattere prevalente rispetto alle esigenze organizzative del datore di lavoro. La stessa funzione dequalificatoria del trasferimento ne determina l’illegittimità ontologica ex art. 2103 c.c. (cfr. Tribunale di Salerno sez. lav. 20.03.2018).

Cosa deve fare il lavoratore che ritenga di aver subito un trasferimento illegittimo.
Ciò che il lavoratore non deve, assolutamente, fare in presenza di un trasferimento che egli ritenga illegittimo è quello di reagire emotivamente rifiutandosi di recarsi presso la nuova sede lavorativa.
Tale atto di protesta, infatti, risulta inutile ed, anzi, espone il lavoratore al rischio di effetti maggiormente pregiudizievoli poiché tale condotta potrebbe risultare rilevante ai fini di un successivo provvedimento di licenziamento.

Di fronte al trasferimento illegittimo il lavoratore deve reagire strategicamente.
Talvolta, infatti, il trasferimento è disposto strumentalmente dal datore di lavoro allo scopo di scoraggiare il lavoratore a recarsi presso altra sede lavorativa inducendolo, tacitamente e subdolamente, a rassegnare le proprie dimissioni con tutto ciò che ne consegue sul piano giuridico ed economico (ad es. la conseguenziale perdita del successivo sussidio di disoccupazione).
Il lavoratore che voglia contestare il trasferimento perché ritenuto illegittimo deve farlo, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento, mentre ha a disposizione 180 giorni per depositare il ricorso in Tribunale ed iniziare un processo del lavoro.
La giurisdizione spetta al Tribunale in formazione monocratica nella persona del Giudice del Lavoro.

È opportuno, dunque, che il lavoratore si rivolga immediatamente ad un legale.
La documentazione essenzialmente necessaria da allegare al ricorso è 1) il contratto individuale di lavoro, 2) il CCNL di categoria di appartenenza del lavoratore, 3) la comunicazione obbligatoria unificato Unilav, 4) la comunicazione del datore di lavoro circa il trasferimento, 5) la successiva lettera di contestazione del lavoratore, 6) l’eventuale riscontro del datore di lavoro.
Per evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero derivare dall’ordinaria durata del processo del lavoro (nella previsione più ottimistica non inferiore almeno ad un paio di anni), qualora sussistano i requisiti del fumus boni iuris della dedotta illegittimità del trasferimento del lavoratore (ovvero che si possa  ritenere già prima facie fondata la nullità ed inefficacia del disposto trasferimento) ed il periculum in mora ovvero il grave ed irreparabile pregiudizio derivante dal protrarsi della permanenza del lavoratore presso la nuova sede lavorativa, potrà proporsi ricorso ex art. 414 c.p.c. al Giudice del lavoro con  contestuale istanza cautelare ex art. 700 c.p.c.-.
Il Tribunale, dunque, fisserà, nel più breve tempo possibile, l’udienza cautelare nella quale verrà valutata, esclusivamente, la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora  e, quindi, la possibilità di sospendere immediatamente – seppure in via provvisoria –  il trasferimento del lavoratore.
Successivamente, nei tempi ordinari, si svolgerà il normale processo del lavoro in cui il Tribunale valuterà, in via definitiva, l’illegittimità o meno del trasferimento.
Il lavoratore ha la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni patiti per effetto del licenziamento illegittimo qualora, ovviamente, sia in grado di fornire la prova dell’esistenza del danno ed ha, anche, la facoltà di reclamare i diritti che il CCNL gli riconosce per il caso del trasferimento (es. indennità di trasferimento, rimborso spese viaggio, etc.).

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